Da "Il diario di uno psicopatico".
Il
collega stava per ribattere qualcosa,
quando la nostra attenzione fu richiamata da un insolito trambusto giù in
strada, a poca distanza dalla palazzina
in cui ci trovavamo in quel momento, situata in un quartiere periferico
di Senigallia, di fronte a degli impianti sportivi, in realtà una zona
tranquilla e poco frequentata in quel periodo dell'anno. Era infatti Dicembre
inoltrato, le giornate si erano notevolmente accorciate, tanto che erano le quattro
del pomeriggio e già il sole stava calando inesorabilmente. Un'auto
parcheggiata stava andando a fuoco, già si cominciava ad alzare una colonna di
fumo nero. Lì per lì pensai che non fosse niente di grave, a parte il danno
economico che avrebbe patito il proprietario per la perdita della sua auto, ma
alcuni particolari della scena fecero rendere conto sia me che il mio collega
che si stava consumando una tragedia. L'auto non era vuota, c'erano delle
persone a bordo. Senza neanche infilarci i soprabiti, ci precipitammo di sotto.
Sergio prese il primo estintore che gli
capitò tra le mani, io feci altrettanto e gridai al piantone, passando avanti
alla sua guardiola, di chiamare ambulanza e pompieri. Giunti vicino all'auto in
fiamme, una Peugeot 207, potemmo verificare l'efficienza degli estintori in
nostra dotazione. Il mio era completamente scarico, mentre quello che aveva in
mano il commissario Adinolfi riuscì a soffocare le fiamme quel tanto che bastò
a vedere che per la persona seduta sul lato del guidatore c'era ben poco da
fare. Poi, esalato l'ultimo spruzzo di schiuma, le fiamme finirono la loro
opera riducendo l'auto ad uno scheletro
annerito. Fortunatamente, si fa per dire, il veicolo doveva essere alimentato a
gasolio, per cui non ci fu alcuna esplosione. Giunsero i pompieri a sirene
spiegate e in una frazione di secondo estinsero le ultime lingue di fuoco. Poco
più in là, il personale del 118 stava prestando soccorso a un individuo, che
ancora teneva in mano un tubo metallico e che si era leggermente ustionato al
volto. A terra, in stato di incoscienza, una persona, che capii essere una
donna. Con tutta probabilità, era uscita dall'abitacolo dal lato del
passeggero, si era trascinata per qualche metro avvolta dalle fiamme, poi si
era accasciata inerme. Mi diedi della
stupida, se non avessi perso tempo con l'estintore, mi sarei potuta accorgere
di lei, gettarle qualcosa addosso per soffocare le fiamme, per evitarle atroci
sofferenze. Ma nella confusione non avevo fatto neanche caso alle sue urla. I
paramedici la rigirarono delicatamente, uno di loro poggiò due dita sul collo e disse all'altro:
«E' ancora viva! Forza, diamoci da fare.»
Il
secondo paramedico scosse la testa.
«Non
possiamo fare niente, è in condizioni pietose. Se si salverà rimarrà sfigurata
per sempre. Diamole l'ossigeno e chiamiamo l'eliambulanza, la trasporteranno al
centro grandi ustionati...»
La
scena era raccapricciante, avevo i crampi allo stomaco e stavo per vomitare, ma
mi feci coraggio, mi avvicinai al mio collega, che continuava a guardare
allibito il cadavere carbonizzato della persona rimasta all'interno della
vettura, e cercai di scuoterlo riportandolo alla realtà.
«Coraggio,
Sergio, non potevamo fare niente di più. Cerchiamo di capire piuttosto che
cos'è successo. Dobbiamo interrogare l'individuo con quella spranga in mano,
prima che lo portino al pronto soccorso. Sentiamo che cos'ha da dire! Mentre tu
ti fai dare le sue generalità, io chiamo Cimino. Qualche rilievo della
Scientifica ci potrà sicuramente essere utile.»
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