sabato 30 aprile 2011

FESTA COL BOTTO A VILLA BRANDI

VENERDI' SERA DI FINE MAGGIO







Le sette di sera di un tranquillo venerdì di fine maggio. Avevo finito di impartire le ultime raccomandazioni alla baby-sitter, una giovane studentessa universitaria, che all'apparenza tutto sapeva fare tranne che trattare con i bambini, mentre Stefano stava tirando fuori dalla rimessa l'auto di lusso, una Mercedes classe E berlina color grigio metallizzato, perfettamente tirata a lucido.
Al suono del clacson, mi affrettai a congedare la ragazza e precipitarmi in cortile.
“Questi consessi mondani sono una cosa che odio.” disse Stefano, concentrato sulla guida. “Come odio quest'auto, che dovrebbe rappresentare lo status symbol di una certa categoria sociale, essenzialmente costituita da professionisti, che devono apparire in società più che essere apprezzati per come svolgono il loro mestiere. Anche se appartengo alla stessa categoria, sai bene che non mi ci trovo in mezzo a loro. Stasera ci sarà tutta l'élite della città, immagino, a partire da Sindaco e Assessori vari, alcuni noti avvocati, alcuni baroni della medicina, il Notaio Criscuoli, e via dicendo...”
Mentre parlava, aveva preso una strada a senso unico che costeggiava le antiche mura medioevali della città, in salita per la Costa del Montirozzo, per sboccare poco più a valle di Porta Bersaglieri, dove, in dei piccoli giardinetti, si trova il monumento dedicato a Federico II di Hoenstaufen, e imboccare poi Via Bersaglieri e da lì immettersi in Via Nazario Sauro e proseguire in Via Mura Occidentali. In un punto in cui la strada correva strettamente a ridosso delle mura castellane, notai dei lavori. Era stato praticamente aperto un varco a forma di arco nelle mura, gli antichi mattoni erano stati accatastati su un lato, e intorno all'apertura si notavano dei tubi corrugati di plastica, di quelli per fare passare i cavi dell'elettricità. Un tabellone indicava estremi della concessione edilizia, inizio e termine dei lavori, ditta appaltatrice, riportando a caratteri cubitali il nome del progetto: VIVERE IL CENTRO STORICO.
Mi rivolsi al mio compagno, chiedendo lumi.
“E' un vero scempio. Cosa diavolo ci vogliono realizzare?”
“Una scala mobile, o un ascensore, credo, per raggiungere agevolmente Piazza Federico II, attraverso il vecchio Palazzo Pianetti, che fino a qualche decennio fa ospitava le carceri. Solo che è tutto fermo perché subito dietro le mura hanno trovato dei reperti archeologici che risalgono all'epoca romana. E non è stato scoprire l'acqua calda! La parte storica di questa città sorge esattamente sopra il tracciato dell'accampamento realizzato dai Romani, che giunsero qui circa nel 300 Avanti Cristo, dopo aver sconfitto la coalizione di Umbri, Etruschi e Sanniti nella battaglia del Sentino. Proprio in questa zona, in prossimità del complesso di San Floriano, c'era un'enorme cisterna per l'approvvigionamento idrico della città di Aesis. La cisterna funzionava da riserva d'acqua anche per le Terme, che erano situate nella zona compresa fra Piazza Federico II e Porta Bersaglieri. Ancora oggi la zona è individuata da due strade che si chiamano, per l'appunto, Via delle Terme e Vicolo delle Terme.”
“E' incredibile come queste cose le sai benissimo tu, mentre sembra che i progettisti dell'ascensore ne fossero completamente all'oscuro.”
Stefano sospirò, cercando di defilarsi dal fare altri commenti.
“Caterina, non sappiamo quali sono le motivazioni che hanno portato l'amministrazione comunale ad approvare questi lavori, ma sicuramente ci sarà stata una bella discussione in consiglio comunale. Molti degli assessori e il sindaco sono miei amici fin dai tempi dell'infanzia e ti assicuro che i loro ideali sono nobili, anche se a volte non tutta la popolazione apprezza il loro operato. Beh, sicuramente così com'è, non è assolutamente bello a vedersi come spettacolo, ma diamo tempo al tempo e vedremo come sarà recuperata l'area a lavori finiti."
Sorrisi a denti stretti ed accettai le spiegazioni del mio compagno, anche se il mio istinto mi faceva pensare a possibili appalti truccati e tangenti. Ma, pensai, probabilmente ero la solita esagerata.
Tra una chiacchiera e l'altra avevamo raggiunto Villa Brandi e Stefano aveva parcheggiato la sua auto a fianco di altre non meno lussuose, tra una Lancia Thesis nera e un'Alfa 169 blu notte.
Ammirai la parte esterna della villa alla luce di uno splendido tramonto, un'enorme costruzione su tre livelli, circondata da un parco, dipinta di fresco in rosso mattone. Lampioncini in stile antico, disposti in posizione strategica, erano già accesi nonostante ci fosse ancora la luce del giorno. Una sontuosa scalinata conduceva all'ingresso principale, che era situato al primo livello sopraelevato. Da un ampio ballatoio, attraverso un grande portone, si entrava in un atrio e quindi in un enorme salone, illuminato da un incredibile lampadario arricchito da migliaia di cristalli Swarovski. Probabilmente, al piano terra c'erano le cucine e gli eventuali alloggi per il personale, mentre al piano superiore sicuramente erano state realizzate le camere da letto, per la famiglia e per gli eventuali ospiti. Prima di entrare, dal ballatoio situato avanti all'ingresso principale, gettai lo sguardo verso il cortile e notai che la recinzione della dimora, nello stesso stile e dal muretto dello stesso colore della villa, circondava completamente la proprietà, ma in un punto, sulla parte anteriore, presentava una strana rientranza, in corrispondenza della quale, all'esterno, era presente un grande pozzo.
“Perché quell'artefatto?” chiesi a Stefano. “Il pozzo non poteva essere ricompreso nel parco della villa?”
“Quello è il pozzo della discordia!” rispose Stefano, che ormai avevo capito fosse a conoscenza della storia e delle questioni sociali della sua città meglio di chiunque altro. “Questa villa, e il relativo parco, di cui faceva parte il pozzo, anni fa era in completo stato di abbandono. Proprietà dei Brandi da secoli, quando gli ultimi discendenti della famiglia si trasferirono a Roma, abbandonando definitivamente l'abitazione, il Comune di Jesi l'acquisì ai beni comunali, con il progetto di restaurarla e farne un ostello. Parliamo dell'anno 1983, ne è passato di tempo! Come al solito i fondi, resi disponibili, si persero in appalti fantasma, tangenti a politici locali, e via dicendo. In ogni caso il Comune ha sempre garantito la fruibilità al pubblico dell'acqua dell'antico pozzo, tanto che in un'ampia fetta di terreno, che sarebbe di pertinenza del parco della villa, alcuni cittadini hanno pensato bene di coltivare piccoli appezzamenti, considerati ormai per tradizione orti privati. Si dice che l'acqua del pozzo sia miracolosa, e non solo a fini irrigui. Sembra che, bevuta, abbia effetti diuretici, depurativi e antipiretici. Qualcuno afferma – ma non so sia verità o leggenda – che queste proprietà curative dell'acqua del pozzo siano dovute al fatto che in quel punto preciso, circa due millenni e mezzo fa, sia caduto un meteorite, che ha rilasciato nella falda acquifera sali minerali provenienti dallo spazio che fanno tuttora risentire i loro effetti benefici. Fatto sta che, nel 2003, il Comune mise di nuovo in vendita la proprietà, villa e 2700 metri quadrati di parco, in quanto in venti anni l'amministrazione comunale non era riuscita a mettere in atto le opere di restauro e l'immobile era andato ulteriormente in degrado. Questa fu acquistata dal nostro Roberto Gloriani, con la promessa che avrebbe riservato alcune stanze alla vecchia famiglia Brandi, la quale doveva essere ancora completamente liquidata, e che pozzo ed orti sarebbero rimasti all'esterno della recinzione della proprietà. Quando il Gloriani, forte della sua disponibilità economica, diede l'incarico all'impresa edile Spergolini di restaurare l'immobile e realizzare il progetto che vediamo avanti ai nostri occhi, l'intera area, a causa delle esigenze di sicurezza tipiche di un cantiere, dovette essere recintata. In quel frangente si sollevò una specie di sommossa popolare, nel timore che l'acqua del pozzo non potesse essere più utilizzata a scopo irriguo. Si arrivò addirittura ad un attentato incendiario, e una notte, le impalcature che già avvolgevano completamente la villa furono date alle fiamme, con il risultato di un notevole danno economico. Fortunatamente i lavori erano iniziati da poco, ma ci volle un comunicato stampa ufficiale da parte del Sindaco e dell'Assessore all'urbanistica e all'ambiente per tranquillizzare l'opinione pubblica, aizzata dal consigliere comunale capogruppo di Rifondazione Comunista, al fine di assicurare che, al termine dei lavori, pozzo e appezzamenti di terreno ormai dedicati ad orti sarebbero rimasti al di fuori della recinzione della proprietà. E questo è quanto.”
“Ho sentito dire anche che la villa sia stata abbandonata per decenni perché si pensava fosse infestata dai fantasmi, che era una delle mete preferite dove fare sedute spiritiche, che la famiglia Brandi se ne sia andata definitivamente dopo un pauroso faccia a faccia con uno spirito malvagio. C'è anche la diceria che il pozzo sia comunicante, per mezzo di un condotto artificiale realizzato nell'antichità, con la cisterna romana di cui parlavi prima in auto. Che mi dici di tutto questo?”
“Oh, vedo che ti sei documentata! Mah, leggende, dicerie, favole. Nulla che abbia qualcosa di fondato su cui basarsi. Però, sul fatto che sia una villa di misteri, hai pienamente ragione. Ed ora entriamo.”
In eleganti abiti da sera, Stefano ed io eravamo una delle coppie più ammirate della serata. Stefano, nonostante le sue precedenti affermazioni si muoveva bene nell'ambiente, salutava chiunque gli si avvicinasse con strette di mano a volte calorose e cordiali, a volte ossequiose, a seconda del grado di conoscenza e di amicizia che aveva con l'interlocutore di turno. A volte si dilungava in qualche commento, a volte baciava la mano di qualche signora. Man mano mi presentava tutti coloro che lo salutavano, mettendomi al corrente di vita, morte e miracoli di ognuno.
“Niente male per essere un ambiente che non ti va a genio!” commentai a bassa voce, sorridendo.
“Beh, mi adeguo alla situazione, buon viso a cattiva sorte.”
Un cameriere si avvicinò a noi con un vassoio di calici pieni di champagne, mentre un altro ci porgeva dei piattini contenenti cocktail di scampi. Certo, rispetto all'inaugurazione di casa Della Rosa su a Triora, qui era tutto molto più elegante, non esistevano piatti e bicchieri di carta e il rinfresco era di tutt'altro tenore rispetto a quello preparato dalla ditta di catering qualche mese prima. Non mi sentivo assolutamente a mio agio in mezzo a quella gente, ma anch'io facevo buon viso a cattiva sorte, elargendo sorrisi a chiunque mi venisse presentato e offrendo la mano per insulsi quanto ipocriti baciamano.
Ad un certo punto, Stefano mi prese sotto braccio e mi condusse verso un gruppetto di cinque persone particolarmente distinte.
“Vieni, ti presento i padroni di casa. Purtroppo Roberto Gloriani non è riuscito ad essere presente questa sera, dopo tutto quello che è successo l'altro giorno a Genova.”
“E' ancora trincerato in albergo, assediato dai tifosi?”
“No, sembra che ieri in tarda serata la situazione si sia risolta, ma Roberto non ha fatto in tempo a prendere l'aereo per Ancona. O forse sì, ma magari non era nello spirito adatto per partecipare a questa festa, anche se è lui stesso che l'ha organizzata.”
In compenso, Stefano mi presentò Aldo, l'anziano padre di Roberto, un uomo alto, atletico nonostante l'età, settantatré anni, i capelli completamente bianchi. Era il presidente, nonché finanziatore, di un'importante scuola di calcio per giovani della nostra città. Insieme a lui, il fratello Giulio, quindici anni più giovane, accompagnato dalla moglie Giada Spergolini, amministratrice unica dell'impresa edile che aveva provveduto a restaurare la villa.
“Se due più due fa ancora quattro, sento odore di appalti milionari.” pensai tra me e me. “Altro che parentopoli... Questi due sicuramente non stanno insieme per amore, la Spergolini avrà almeno vent'anni meno del marito!”
L'altra coppia di attempati signori era parte di quanto rimaneva della famiglia Brandi, Alfredo e Liana, ed erano due sessantenni in piena forma, gli unici del gruppo che reputai non essere attaccati al Dio denaro. I loro occhi luccicavano vedendo la casa riportata ad un antico splendore, di cui loro forse erano stati testimoni solo in tenera età.
“Veramente incantato, Dottoressa Ruggeri. Se la sua intelligenza è pari alla sua bellezza, come mi hanno decantato, sono convinto che, come tutrice dell'ordine pubblico, saprà proteggere a meraviglia questa cittadina!” esordì il Signor Alfredo.
“Oh, non esageriamo. Non sono mica uno sceriffo. Sono stata chiamata qui per dirigere la Sezione omicidi e persone scomparse, ma ancora, per effetto di una splendida bimba che ho dato alla luce da poco, non ho preso servizio appieno.”
“Le voci corrono e so che su in Liguria ha risolto un caso estremamente complesso, dimostrando determinazione e sprezzo del pericolo!”
Abbassai lo sguardo, sentendomi lusingata, e cercai di cambiare discorso.
“Siete gli unici membri della famiglia Brandi?”
“Che verranno ad abitare in questa dimora, sì. Abbiamo una figlia, Maria Lucia, che da tempo si è allontanata volontariamente da noi, per fare la bagnina e maestra di Yoga in una località della riviera del Conero. E' la nostra disperazione, vorremmo tanto che ritornasse a vivere con noi, che mettesse la testa a posto, ma lei rifiuta qualsiasi tentativo di riavvicinamento.”
Mentre parlava, osservavo Alfredo e lo paragonavo un po' ad un vampiro. Era una persona alta, magra, il naso aquilino, i canini particolarmente pronunciati, la carnagione molto pallida e gli occhi cerchiati di rosso. Non da meno era la sua moglie, Liana, una donna estremamente magra, che cercava di coprire il pallore del suo viso con molto fard ed un rossetto dal colore intenso; la sua capigliatura era folta e grigia, con una piega impeccabile; le sue mani avevano le dita ossute e affusolate.
“L'altro membro della famiglia di cui non abbiamo più notizie da quasi trent'anni, ventotto per l'esattezza, è il mio anziano genitore, Vladimiro.” continuò Alfredo Brandi. “Nel 1983, versavamo in pessime condizioni economiche e l'unica via d'uscita era vendere questa dimora, almeno a mio avviso. Mia moglie era del mio stesso parere e trovammo buono l'accordo di esproprio proposto dall'amministrazione comunale del tempo. Mio padre era assolutamente contrario a tale transazione, dopo un furibondo litigio se ne andò sbattendo la porta e non avemmo più notizie di lui. Allora aveva settantaquattro anni, ma era perfettamente in salute. La nostra figlia al tempo quattordicenne, Maria Lucia, si schierò dalla parte del nonno, lo rincorse e probabilmente visse per un periodo insieme a lui. Per parecchi mesi, quasi un anno, non avemmo notizie di nessuno dei due. Nel frattempo avevamo ceduto la casa al Comune ed eravamo in procinto di trasferirci a Roma. Una domenica pomeriggio di inizio estate, Maria Lucia si ripresentò a casa, accompagnata da una specie di santone, a sua detta suo fidanzato e guida spirituale, con cui sarebbe partita per l'India, per un viaggio alla ricerca di sé. Provammo a chiederle che fosse stato del nonno Vladimiro, se sapesse indicarci dove ritrovarlo per poterci riappacificare con lui, ma la ragazza non ci volle rivelare nulla. Il nonno sta bene, ma non cercatelo più, furono le uniche parole che Maria Lucia pronunciò sulla vicenda.”
Cominciavo a drizzare le antenne sulla questione dell'anziano scomparso, sarebbe potuto essere pane per i miei denti, un caso irrisolto da decenni a cui dare un senso ed una conclusione.
“Se fosse vivo, Vladimiro avrebbe ora oltre cento anni. Sarà sicuramente morto.” intervenni. “Ma oggi noi della Polizia abbiamo dei buoni metodi per poter dare un nome ad un cadavere, anche se ridotto a scheletro, e non parlo solo di esami del DNA. Lei mi è simpatico, signor Brandi, e le assicuro che farò quanto è in mio potere per poterle riconsegnare quanto meno la salma del suo caro per potergli offrire almeno una sepoltura. Avevate fatto denuncia della scomparsa dei due, all'epoca?”
“Certo, avevamo denunciato la fuga di mia figlia, che era minorenne. Allora, la polizia disse che un adulto come Vladimiro poteva allontanarsi volontariamente dalla famiglia e che comunque, se la ragazzina era effettivamente in compagnia del nonno, questi l'avrebbe sicuramente protetta. Così, non ci fu un grande impegno da parte delle forze dell'ordine nelle ricerche. E comunque, cara dottoressa, non venda la pelle dell'orso prima di averlo ucciso. Anche se utracentenario, non è detto che mio padre sia morto. In famiglia siamo molto longevi, e più di un mio antenato ha superato tranquillamente il secolo di età. Bernardo Brandi, per volere del quale nel 1659 fu eretta questa sontuosa dimora al posto di un'antica roccaforte ormai in rovina, sembra sia vissuto in salute fino a centosette anni! E' per questo che ho ancora fiducia che mio padre sia vivo e possa ancora chiedergli perdono. E fargli vedere la sua villa restituita ad antico splendore.”
“Vivo o morto, le prometto che mi darò da fare per ritrovarlo.” Conclusi la conversazione con un leggero inchino e porgendogli la mano per farmela baciare. Ero convinta di aver fatto un'ottima impressione su di lui e sicuramente, appena mi fosse stato possibile, avrei mantenuto la mia promessa, anche se ero più convinta di poter trovare un mucchietto di ossa piuttosto che Vladimiro Brandi vivo e vegeto. Chissà perché, quel nome richiamava alla mia mente il conte Dracula, Vlad Tsepesh, o Vlad l'impalatore, probabilmente ero suggestionata dall'aspetto di suo figlio e dal nome stesso, Vladimiro.
Tra assaggi di prelibati manicaretti e calici di champagne, il ricevimento andò avanti fino al momento in cui il Sindaco prese la parola per un discorso ufficiale di inaugurazione, rammaricandosi dell'assenza di Roberto Gloriani, colui che con tanta magnanimità aveva messo a disposizione i fondi per il magnifico restauro della villa. Calzò l'accento sul merito suo e dell'amministrazione comunale di aver fatto sì che parte del parco e il famoso pozzo fosse restato fruibile da tutta la cittadinanza, e concluse augurando alle famiglie Gloriani e Brandi una serena convivenza sotto lo stesso tetto.
“E' campagna elettorale questa?” sussurrai a Stefano.
“Oh, i politici non perdono mai occasione per guadgnare visibilità!”
Tra le undici e mezzanotte, gli illustri ospiti, uno dopo l'altro, cominciarono a dileguarsi. Stefano si era attardato in una conversazione con la signora Giada Spergolini, nella quale aveva inaspettatamente scoperto un'amante della musica jazz, e che quindi, per lui, era un'ottima interlocutrice. Non senza una punta di gelosia, che peraltro ero riuscita a reprimere immediatamente, mi ero allontanata dai due per dedicarmi ad osservare alcuni dipinti appesi alle pareti ed un'antica libreria dove erano conservati testi anche piuttosto datati ed introvabili. Adocchiai in particolare un libro, con un'elegante sovraccoperta a colori raffigurante il campanile della chiesa di San Floriano, dal titolo “Storia di Jesi”. L'edizione era datata 1969, probabilmente sarebbe stato molto difficile trovarne una copia in libreria, e mi sarebbe piaciuto sfogliarla, ma purtroppo le ante della libreria erano rigorosamente chiuse a chiave e potevo ammirare il testo solo attraverso i vetri. Quando mi accorsi che erano rimasti solamente pochissimi ospiti, oltre i padroni di casa, mi riavvicinai a Stefano.
“Andiamo. E' veramente tardi, e abbiamo promesso alla baby-sitter che saremmo rincasati entro l'una.” gli dissi. Non oppose resistenza, salutammo cortesemente quanti erano ancora presenti e ci avviammo verso l'uscita. Uscimmo dall'ingresso principale, scendemmo la scalinata e ci avviammo sul vialetto che conduceva all'esterno della proprietà, verso il parcheggio dove avevamo lasciato l'auto. La pressione dovuta ad un'improvviso spostamento d'aria, avvertita dai miei timpani, mi fece rendere conto di una situazione di grave pericolo. Una frazione di secondo prima di sentire il boato dell'esplosione, d'istinto gettai un braccio intorno alle spalle di Stefano, che camminava al mio fianco, e mi buttai a terra trascinandomelo letteralmente dietro. Non feci in tempo a toccare il terreno, la faccia rivolta in basso, che mi sentii investire da una pioggia di pezzi di intonaco, di mattoni e di vetri infranti. Quando fu finita, sollevai leggermente la testa, rivolgendomi nella direzione di Stefano, che si stava per rialzare.
“Fermo, aspettiamo qualche istante. Ad un prima esplosione ne potrebbero seguire altre, così per lo meno mi hanno insegnato al corso di addestramento. Meglio rimanere ancora fermi!”
Dopo sessanta interminabili secondi in cui non successe più nulla, decisi, anche se non ne potevo esserne sicura, che ci si poteva alzare. Osservai Stefano completamente ricoperto di una coltre di polvere bianca, lo scuro smoking aveva cambiato completamente colore, mentre i capelli, da brizzolati, erano virati decisamente al bianco. Mi resi conto che io ero conciata in condizioni simili se non peggiori.

sabato 16 aprile 2011

A SPASSO PER JESI

UNA DOMENICA POMERIGGIO IN GIRO PER IL CENTRO STORICO



Uscii dalla Questura, ripresi la mia auto e volai verso casa. Il sole era ormai prossimo al tramonto quando parcheggiai nel cortile. Entrai in casa e trovai una scena a dir poco insolita. Aurora era nella sua sdraietta, felice e beata, che sgambettava e sbracciava al ritmo della musica. Stefano aveva messo la base musicale di una Samba e stava improvvisando con il suo sax sopra quella base. Riconobbi immediatamente il brano: "Soul food to go" dei Manhattan Transfer. Presi il microfono del Karaoke e, al diavolo la stanchezza, mi misi a cantare.
My, my, oh the feelin'
Of the sound, precious and real and
Ooo that's nice
Whip up some steamin' jazz
The pot is on the stov
It's Cookin'.
Want some more
We always save some
Art noveau
For special patrons
You look nice
Do you believe in Jazz.
Kansas City to Brazil
It even gets you hot in your home
Kansas city to Brazil
I say blow your top
Bolw your own...
Aurora era felice: ci guardava e sorrideva con quegli occhioni enormi. Continuammo fino a che la piccola non si addormentò.
“Accidenti, Caterina! Non mi ricordavo che tu cantassi così bene. Potrei metterti in organico come seconda vocalist della nostra band. Che ne dici?”
“Oh, lascia perdere. Mi stai solo lusingando. Sai benissimo che sono fuori allenamento. E' da quando avevo vent'anni che non studio più canto. E poi non avrei sicuramente tempo di seguire le tue follie e quelle dei tuoi colleghi, ma soprattutto non sarei in grado di mettere in mostra le mie gambe come fa l'altra vocalist...”
“Però, se ti può interessare, fra pochi giorni ci sarà una festa di beneficenza all'enoteca, organizzata dal Club filantropico jesino. Potrebbe essere una buona occasione per te per entrare nel sancta sanctorum della massoneria locale. E se venissi come membro della band saresti lì dentro a pieno diritto, senza dare nell'occhio a nessuno. Io credo che ci siano dei bei segreti da scoprire e il tuo intuito saprà dove e come cercare.”
“Ci penserò, vedremo. Adesso sono veramente stanca: metto a letto Aurora e me ne vado a riposare anch'io. Se ne riparlerà.”
“Però per domani non prendere impegni. Tu, Aurora ed io, nel pomeriggio faremo un giro storico-turistico per il centro antico di Jesi. Vedrai che per te sarà molto interessante. Ne ho di cose da farti vedere!”
“Mi mancava solo questa!” risposi sbadigliando. “Che tu ti improvvisi cicerone per le strade di una città che conosco come le mie tasche.”
“Io penso che tu ti sbagli, e ce lo sapremo ridire. Buonanotte!”
Credo che quelle ultime parole sì e no che le sentii. Mi abbandonai sul letto senza neanche spogliarmi e mi addormentai come un ghiro.

Un aspetto del carattere di Stefano che non era mai cambiato da quant'è che lo conoscevo, praticamente da sempre, era la sua testardaggine. Quando si metteva in testa di fare una cosa, non c'era verso di farlo desistere. Così, anche quella domenica pomeriggio, dopo aver accudito i cavalli e aver fatto scorrazzare i cani, caricò letteralmemte me e Aurora in auto e ci avviammo verso il centro storico. Parcheggiò nell'ampio piazzale di Porta Valle, scaricò il passeggino, vi piazzò amorevolmente la nostra piccola, che era sempre sorridente e sembrava che le idee bizzarre del suo papà le andassero sempre maledettamente a genio, e iniziammo a camminare per vie, viuzze e vicoli della parte antica della città. Tutta la parte storica è circondata da possenti mura medioevali, con camminamenti, torrioni, torrioncini, torri di guardia e di vedetta. Un tempo, in questa zona, a ridosso delle mura, scorreva un canale, il vallato, ad ulteriore protezione della città, ma utilizzato anche per far funzionare mulini, fabbriche e opifici grazie alla forza dell'acqua. A metà del secolo scorso questo canale era stato completamente coperto. Entrammo all'interno della città attraversando Porta Valle. Subito alla nostra sinistra, in un piazzale circondato su tre lati dalle antiche mura, degli scavi avevano riportato alla luce resti di antiche costruzioni, risalenti ad epoca romana. Per poter essere ammirati, i reperti archeologici erano stati coperti con uno spesso lastrone di vetro antisfondo, e in un angolo era stato realizzato un grande plastico che riproduceva in maniera il più fedele possibile come doveva essere la città al tempo dei romani, tra il primo secolo avanti Cristo e il secondo, terzo secolo dopo Cristo. Tutto sommato la cosa cominciava ad interessarmi.
“La parte all'interno delle mura rispecchia fedelmente il perimetro della città dell'epoca romana.” iniziò Stefano. “Attualmente Porta Valle, che anticamente si chiamava Porta Pesa, è l'unico accesso alla città nella zona orientale, quella più a valle. Un tempo, poco lontano, si apriva un'altra porta nelle mura della parte bassa della città, Porta Cicerchia. Quest'ultima fu chiusa verso la metà del 1800, per impedire la diffusione di un'epidemia di colera proveniente da Ancona, e la chiesa di San Benedetto, che era subito al suo interno, fu trasformata addirittura in una fabbrica di sapone.”
“Però, là in quella zona che mi stai indicando , c'è una gru. Stanno restaurando?”
“Ristrutturando. Credo che dovrebbero venirci fuori dei mini appartamenti, che saranno venduti a peso d'oro. Ma tralasciamo. Ormai dell'epoca romana rimane ben poco. Camminando, ti mostrerò, più in alto, le vestigia dell'anfiteatro. La maggior parte delle costruzioni romane sono state distrutte da un violento terremoto nell'anno 848. In epoche successive sono stati costruiti i palazzi che vedi ora, e che risalgono quindi al tardo medioevo e al rinascimento. Chiaramente sono stati costruiti sopra i ruderi delle antiche costruzioni romane, che hanno fatto loro da fondamenta. Pertanto, soprattutto nella parte alta della città, dove ci sono i palazzi più grandi e sontuosi, sotterranei e cantine delle abitazioni formano una specie di città sotterranea, che ricalca le fattezze dell'antico abitato.”
“Come una rete di passaggi segreti, che unisce i sotterranei dei vari palazzi?” cominciavo ad essere curiosa.
“Proprio così, e questa peculiarità fu sfruttata nell'ultima guerra. Le cantine furono utilizzate non solo come rifugi durante i bombardamenti, ma anche come dispense per i viveri, e soprattutto come nascondigli per partigiani e dissidenti, nonché per soldati americani che si erano ritrovati dietro le linee nemiche dopo lo sbarco in Sicilia, quando questa zona era ancora sotto l'occupazione tedesca.”
Poco più avanti, Stefano mi mostrò la chiesa di San Bernardo, che attualmente ospita il museo della stampa e delle arti grafiche, e la chiesa di San Pietro Apostolo. Di quest'ultima, mi spiegò che è una delle più antiche, edificata dai longobardi, che l'aspetto attuale della facciata è settecentesco perché l'edificio in quel periodo era stato distrutto da un incendio, e fu ricostruito, con l'accesso principale su Piazza Franciolini, rivolto verso Via Valle anziché verso Costa Baldassini come in origine. Spingendo il passeggino, cominciai ad arrancare su per la Costa Baldassini, fino a raggiungere Via Roccabella, dove ammirammo le antiche vestigia dell'anfiteatro romano. Poi risalimmo ancora per un breve tratto, fino a raggiungere la parte più alta della città in Piazza Colocci, dove si affacciano la chiesa e il chiostro Sant'Agostino, l'antico Palazzo Colocci e, sul lato opposto, il Palazzo della Signoria, o Palazzo del Governo, la cui architettura ricorda molto il Palazzo Vecchio di Firenze.
“Perché un Palazzo della Signoria, se questa città non fu mai sede di una vera e propria Signoria?” Chiesi a Stefano, cercando di riprendere fiato e nella speranza che, facendolo parlare, si sarebbe fermato un po'.
“Viene chiamato così per l'affinità architettonica con quello fiorentino, tanto che il progettista è il toscano Francesco di Giorgio Martini, che lavorò anche alla realizzazione del Palazzo Vecchio di Firenze. Vero è che già fin dal XII secolo, Jesi era una Repubblica, come vedi dalla scritta sopra l'ingresso laterale del palazzo: «Respublica Aesina Libertas Ecclesiastica». I Comuni di allora, così come erano costituiti e retti, non assomigliavano affatto ai Comuni moderni, che hanno, o dovrebbero avere, piena autonomia amministrativa. I Comuni medioevali puntavano invece ad una completa autonomia politica, volevano essere, cioè, tante piccole repubbliche. Li governavano capi detti «consoli», i quali comandavano l'esercito ed amministravano la giustizia. Poi c'era il parlamento, che era l'assemblea di tutti i cittadini, i quali, in quella sede, facevano le leggi e nominavano i magistrati, i consoli in carica potevano essere anche più di uno, ma in ogni caso mantenevano l'incarico soltanto un anno e dovevano rendere conto del loro operato. Per quanto riguarda Jesi, i rappresentanti del nostro Comune da principio erano tutti artigiani aggregati a diverse scuole o confraternite. Il Comune jesino ebbe inizio con gli artigiani perché le arti furono uno dei primi fattori dell'affrancamento dal forte potere della Chiesa. Non si mostrava la nobiltà, la ricchezza, gli Jesini non avevano ne l'una ne l'altra, perché già servi e vassalli dei monaci e del vescovo. La loro ricchezza era il possesso e l'esercizio dell'arte, la loro nobiltà era il valore della medesima. Il primo consiglio comunale di Jesi si chiamò «adunanza degli uomini delle arti della città di Jesi»; si teneva o nella chiesa cattedrale o nel palazzo vescovile ed i «consiglieri» erano convocati al suono delle campane. Tale uso è rimasto fino ad oggi, ora è il campanone del palazzo della Signoria a convocare il consiglio comunale. Il primo sindaco di Jesi di cui si conosca il nome — più precisamente era detto «sindaco generale delle arti» — fu Buonacosa Diotaiuti: un nome che era un plauso ed un augurio insieme.”
“Ora stiamo parlando di Medioevo. E l'antica città romana?”
Sorridendo e cominciando a spingere lui il passeggino – ora che il tragitto era pressoché pianeggiante – mi condusse sulla Via Pergolesi, mostrandomi una pietra del selciato diversa dalle altre, molto più grande e perfettamente quadrata.
“Siamo sul Cardo Massimo, la strada principale dell'antico abitato romano, e quella pietra indica il punto più alto del colle su cui sorge Aesis. La pietra è stata posta lì, più di duemilatrecento anni fa, dal console romano Quinto Fabio Rulliano che, dopo aver sconfitto i nemici nella battaglia del Sentino, fondò qui l'accampamento, da cui avrebbe difeso la sua posizione e sferrato l'attacco finale ai Galli Senoni. Dopo un paio di secoli, Aesis era una delle colonie romane più ricche e architettonicamente sontuosa. Proiettati indietro nel tempo di due millenni e immagina di essere una matrona che si aggira con il suo pargolo per le vie dell'acropoli. Questa strada era coperta, iniziava laggiù con un arco trionfale, vicino al quale c'era un piccolo Pantheon, e terminava nel Foro, la piazza principale, dove si trovava il tempio dedicato alla Dea Bona, che era dove ora si trova la chiesa e il complesso di San Floriano. Dove ora vedi il Duomo, c'era un tempio dedicato a Giove, mentre più a valle si ergeva un altro tempio dedicato a Giunone, con tre porte d'accesso. Dove oggi vedi il Palazzo della Signoria sorgeva un grande anfiteatro, mentre al di là dei templi di Giove e Bona sorgevano le terme e i bagni, che erano ornati di idoli. Le statue che abbellivano l'ingresso delle terme rappresentavano il trionfo di Fulvio Fiacco, il quale fece i muri della città di Jesi. Un'enorme cisterna, situata tra il tempio della Dea Bona e le terme, garantiva l'approvvigionamento idrico della città. La lunghezza delle terme era di circa 380 metri, mentre le nuove costruzioni, che risalgono essenzialmente ad epoca rinascimentale, misurano circa 270 metri. Si può così dedurre, come ti accennavo prima, che una notevole parte degli attuali edifici poggia su fondamenta di origini romane.”
Avevamo nel frattempo coperto a piedi il breve tratto di strada che ci separava da Piazza Federico II, così si chiama ora quello che in epoca romana era il Foro, all'incrocio tra il Cardo Massimo e il Decumano Massimo, il centro nevralgico della città, dove si incontravano banchieri e commercianti, dove erano situati i templi. Tale piazza, così come la potevamo ammirare in quel momento, illuminata dal sole pomeridiano, era bellissima. Recentemente ripulita e ripavimentata, su tutto il suo perimetro, su una fila di piastrelle bianche, si può leggere la scritta: In questa piazza il 26 dicembre 1194 nasce l'imperatore Federico II di Svevia. Al centro della piazza una fontana, sovrastata da un obelisco, con una serie di leoni di pietra da cui zampilla acqua cristallina. Un lato della piazza è quasi completamente occupato dall'enorme complesso di San Floriano, che ospita la chiesa, un teatro sperimentale e il museo civico. Sul lato più distante, Palazzo Baldeschi Balleani, dal tipico balcone sorretto da statue simili a cariatidi, e il Duomo. Sull'altro lato, tutta la serie dei palazzi vescovili e della Curia, che ospitano tra l'altro il Museo Diocesano.
“Non è molto conosciuta, ma secondo me è una bellissima piazza. E inoltre è stata testimone di un evento storico eccezionale, la nascita di Federico II.” Riprese Stefano.
“Perché proprio qui. E in quale di questi palazzi è nato?” Chiesi curiosa.
“Non è nato in uno dei palazzi, è venuto alla luce sotto una tenda eretta apposta al centro della piazza.”
“In pubblico, come fosse un Messia, un nuovo Gesù Cristo?”
“Beh, adesso non esageriamo, però la sua nascita fu un evento pubblico per ben specifici motivi politici. Nel dodicesimo secolo, i Comuni erano costantemente in lotta tra loro. I Comuni più grandi tendevano ad espandersi a danno dei Comuni più piccoli. E siccome i primi cercavano aiuto nell'Imperatore tedesco ed i secondi nel Papa, nacquero i due grossi «partiti» dell'epoca, quello dei guelfi, che si appoggiava all'autorità ecclesiastica, e quello dei ghibellini, che parteggiava per l'impero. I Comuni, per la verità, erano sempre soggetti o al Sacro Romano Impero di Germania o allo Stato della Chiesa, ma si adattavano malvolentieri a tale sudditanza, si erano dati leggi proprie, eleggevano in piena autonomia i propri magistrati e se dovevano farsi guerra non andavano a chiedere il permesso di nessuno. Inutile dire che né il pontefice né l'imperatore vedevano di buon occhio le smanie indipendentistiche dei Comuni e consideravano ogni loro atto non preventivamente autorizzato come un gesto di aperta ribellione. In Germania, soprattutto, la cosa non era tollerata, tanto che un grande imperatore della casa Sveva, Federico I detto il Barbarossa, discese alla fine in Italia con un forte esercito deciso a far rispettare la propria autorità. Varcò le Alpi, assalì e distrusse le città ribelli, ponendo poi a capo di ogni Comune a lui soggetto un podestà tedesco dal pugno di ferro. Federico Barbarossa non si limitò a far valere la sua autorità sulle regioni italiane del Sacro Romano Impero ma, com'era nelle abitudini di tutti gli invasori, entrò più volte nelle province della Chiesa. Si spinse anche anche dalle nostre parti, quindi. Ma, soprattutto nel Nord, non tutti i Comuni accettarono passivamente il pugno di ferro del Barbarossa. Trentasei Comuni si coalizzarono firmando a Pontida quella Lega Lombarda i cui uomini, sotto la protezione di papa Alessandro III, nel 1176 affrontarono e sconfissero le truppe tedesche a Legnano, in una memorabile battaglia. Fu un serio colpo per il Barbarossa, che si vide costretto a riappacificarsi col papa e coi Comuni. Sconfitto nel Nord Italia, il Barbarossa si riparò nel Sud, impossessandosi del regno di Sicilia con un'abile mossa diplomatica, infatti fece sposare il figlio Enrico VI con Costanza d'Altavilla, ultima erede di quel regno. Il matrimonio fra Enrico VI e Costanza fu celebrato nel 1186; otto anni dopo, dalla loro unione, nasceva a Jesi Federico II. Costanza era già trentenne quando, per ragioni di Stato, venne tolta dal chiostro e mandata in sposa ad Enrico VI, di undici anni più giovane di lei. I rapporti fra i due coniugi non erano stati propriamente idilliaci, e molti mettevano in dubbio la veridicità della gravidanza. Comunque, nel dicembre del 1194, Costanza, in viaggio attraverso la Marca d'Ancona per raggiungere il marito in Sicilia, fece sosta a Jesi. Non era la prima volta che i reali di Sicilia si trovavano nella nostra città, già nel 1186 Jesi, notevole centro di attività commerciali ed artigianali, aveva ospitato Enrico VI. Di Costanza d'Altavilla se ne dicevano di tutti i colori, che fosse troppo vecchia per partorire, che fosse persino zoppa e guercia, e che comunque la sua gravidanza fosse inventata per soli scopi politici. Il parto di Costanza avvenne così pubblicamente, per togliere ogni sospetto d'inganno, sotto un padiglione innalzato sulla piazza maggiore di Jesi, allora dedicata a San Giorgio, a cui era intitolata al tempo la chiesa che oggi è dedicata a San Floriano. Al parto furono presenti, come narrano parecchi storici, molti baroni e gentildonne, il Legato Apostolico e quindici prelati tra vescovi e cardinali. Poiché Costanza aveva fretta di raggiungere il marito in Sicilia, il piccolo Federico II fu lasciato a Jesi, affidato alle cure dei conti Pietro di Celano e Berardo di Loreto. Fu poi accompagnato a Foligno, dove passò sotto la custodia della duchessa di Spoleto. Nel 1197, a soli 32 anni, improvvisamente Enrico VI moriva. Costanza incaricò alcuni conti d'Apulia di prelevare il regio infante a Foligno per portarlo a Palermo, dove l'anno dopo, nel giorno di Pentecoste, a soli quattro anni, con una fastosissima cerimonia di rito bizantino, Federico II venne incoronato re. Re di Sicilia soltanto, secondo il desiderio della madre, la quale odiava i tedeschi e non voleva che il piccolo re diventasse imperatore di Germania. Ma anche Costanza aveva i giorni contati. Nel 1198, infatti, anch'essa moriva, non senza però aver prima nominato amministratore del Regno e tutore del figlio il Papa. Ne seguì un periodo oscuro di lotte, guerre tra comuni limitrofi, saccheggi e carestie, finché Federico II, diventato adulto, si pose a capo dell'impero e, nel 1216, fece il suo ingresso trionfale nella sua città natale, chiaramente ghibellina. In questa piazza fu alzato in suo onore un arco di marmo, di bellissimo disegno ed architettura, pieno di statue ed epitaffi, che è poi andato completamente perduto. L'imperatore, per rendere omaggio alla sua città, concesse molti privilegi, ornò il leone, simbolo della città, di una corona regale e diede a Jesi il titolo di Repubblica. Tradizione vuole inoltre che Federico II avesse voluto rendere navigabile il fiume Esino, ed avesse posto gli jesini davanti ad un'alternativa, o il porto o il titolo di città regia. La scelta cadde sulla seconda soluzione, probabilmente per il fatto che commercianti ed artigiani sarebbero stati esentati dal pagare le tasse.”
“Bella storia, ma credo che tu abbia bisogno di bere qualcosa, dopo tutte queste chiacchiere, che non credo finiscano qui!” Così dicendo mi avviai verso un bar con dei tavolini all'aperto, ma uno stand su un angolo della piazza attirò la mia attenzione. Sotto l'ombra di alcuni gazebo, una libreria che aveva sede lì vicino, aveva dato vita all'iniziativa Pomeriggi Letterari: incontri con autori e presentazioni di libri in piazza. Mi avvicinai incuriosita e vidi esposte parecchie copie di un romanzo di recente pubblicazione, intitolato «Delitti Esoterici – La prima indagine del Commissario Caterina Ruggeri». Presi in mano un testo e cominciai a sfogliarlo, osservando che era la narrazione romanzata della mia indagine sui delitti di Triora.
“Oh, questa è bella!” Dissi, rivolta a Stefano, che cominciava visibilmente ad arrossire. “E chi è l'autore? Carla Lanerossi è sicuramente uno pseudonimo. Ne sai qualcosa, tu?”
“Beh, certo, la tua storia, così come me l'hai raccontata, mi aveva talmente appassionato che ho deciso di scriverci un romanzo...”
“Brutto bastardo, e non mi hai detto niente? Voglio una parte dei diritti d'autore!” Ma l'indignazione iniziale stava lasciando spazio di nuovo all'ammirazione nei confronti del mio compagno, nel quale stavo scoprendo un talento dietro l'altro. Presi una copia del libro, la pagai e la misi nella borsa portaoggetti del passeggino di Aurora, che continuava ad osservare ogni cosa ed ogni particolare con occhioni interessati, e continuava ad elargire sorrisi a chiunque la guardasse, compresa la ragazza della libreria.
“Immagino che tu abbia delle copie tue di questo libro. Me lo potevi almeno far leggere!”
“Non credo che avrà grande successo.” Disse con falsa modestia. “E poi la storia la conosci bene!”
“Bisogna vedere con quali particolari l'hai condita, diavolo d'un veterinario, storico, sassofonista, scrittore... Cosa devo scoprire ancora di te? Sei una miniera inesauribile, ma è per questo che mi piaci.” Mi avvicinai a lui a cercare l'abbraccio, che non tardò ad arrivare, accompagnato da uno 'nghè 'nghè soddisfatto di Aurora.
Ci prendemmo un gelato al bar, poi ci dirigemmo verso il lato opposto della piazza.