sabato 16 aprile 2011

A SPASSO PER JESI

UNA DOMENICA POMERIGGIO IN GIRO PER IL CENTRO STORICO



Uscii dalla Questura, ripresi la mia auto e volai verso casa. Il sole era ormai prossimo al tramonto quando parcheggiai nel cortile. Entrai in casa e trovai una scena a dir poco insolita. Aurora era nella sua sdraietta, felice e beata, che sgambettava e sbracciava al ritmo della musica. Stefano aveva messo la base musicale di una Samba e stava improvvisando con il suo sax sopra quella base. Riconobbi immediatamente il brano: "Soul food to go" dei Manhattan Transfer. Presi il microfono del Karaoke e, al diavolo la stanchezza, mi misi a cantare.
My, my, oh the feelin'
Of the sound, precious and real and
Ooo that's nice
Whip up some steamin' jazz
The pot is on the stov
It's Cookin'.
Want some more
We always save some
Art noveau
For special patrons
You look nice
Do you believe in Jazz.
Kansas City to Brazil
It even gets you hot in your home
Kansas city to Brazil
I say blow your top
Bolw your own...
Aurora era felice: ci guardava e sorrideva con quegli occhioni enormi. Continuammo fino a che la piccola non si addormentò.
“Accidenti, Caterina! Non mi ricordavo che tu cantassi così bene. Potrei metterti in organico come seconda vocalist della nostra band. Che ne dici?”
“Oh, lascia perdere. Mi stai solo lusingando. Sai benissimo che sono fuori allenamento. E' da quando avevo vent'anni che non studio più canto. E poi non avrei sicuramente tempo di seguire le tue follie e quelle dei tuoi colleghi, ma soprattutto non sarei in grado di mettere in mostra le mie gambe come fa l'altra vocalist...”
“Però, se ti può interessare, fra pochi giorni ci sarà una festa di beneficenza all'enoteca, organizzata dal Club filantropico jesino. Potrebbe essere una buona occasione per te per entrare nel sancta sanctorum della massoneria locale. E se venissi come membro della band saresti lì dentro a pieno diritto, senza dare nell'occhio a nessuno. Io credo che ci siano dei bei segreti da scoprire e il tuo intuito saprà dove e come cercare.”
“Ci penserò, vedremo. Adesso sono veramente stanca: metto a letto Aurora e me ne vado a riposare anch'io. Se ne riparlerà.”
“Però per domani non prendere impegni. Tu, Aurora ed io, nel pomeriggio faremo un giro storico-turistico per il centro antico di Jesi. Vedrai che per te sarà molto interessante. Ne ho di cose da farti vedere!”
“Mi mancava solo questa!” risposi sbadigliando. “Che tu ti improvvisi cicerone per le strade di una città che conosco come le mie tasche.”
“Io penso che tu ti sbagli, e ce lo sapremo ridire. Buonanotte!”
Credo che quelle ultime parole sì e no che le sentii. Mi abbandonai sul letto senza neanche spogliarmi e mi addormentai come un ghiro.

Un aspetto del carattere di Stefano che non era mai cambiato da quant'è che lo conoscevo, praticamente da sempre, era la sua testardaggine. Quando si metteva in testa di fare una cosa, non c'era verso di farlo desistere. Così, anche quella domenica pomeriggio, dopo aver accudito i cavalli e aver fatto scorrazzare i cani, caricò letteralmemte me e Aurora in auto e ci avviammo verso il centro storico. Parcheggiò nell'ampio piazzale di Porta Valle, scaricò il passeggino, vi piazzò amorevolmente la nostra piccola, che era sempre sorridente e sembrava che le idee bizzarre del suo papà le andassero sempre maledettamente a genio, e iniziammo a camminare per vie, viuzze e vicoli della parte antica della città. Tutta la parte storica è circondata da possenti mura medioevali, con camminamenti, torrioni, torrioncini, torri di guardia e di vedetta. Un tempo, in questa zona, a ridosso delle mura, scorreva un canale, il vallato, ad ulteriore protezione della città, ma utilizzato anche per far funzionare mulini, fabbriche e opifici grazie alla forza dell'acqua. A metà del secolo scorso questo canale era stato completamente coperto. Entrammo all'interno della città attraversando Porta Valle. Subito alla nostra sinistra, in un piazzale circondato su tre lati dalle antiche mura, degli scavi avevano riportato alla luce resti di antiche costruzioni, risalenti ad epoca romana. Per poter essere ammirati, i reperti archeologici erano stati coperti con uno spesso lastrone di vetro antisfondo, e in un angolo era stato realizzato un grande plastico che riproduceva in maniera il più fedele possibile come doveva essere la città al tempo dei romani, tra il primo secolo avanti Cristo e il secondo, terzo secolo dopo Cristo. Tutto sommato la cosa cominciava ad interessarmi.
“La parte all'interno delle mura rispecchia fedelmente il perimetro della città dell'epoca romana.” iniziò Stefano. “Attualmente Porta Valle, che anticamente si chiamava Porta Pesa, è l'unico accesso alla città nella zona orientale, quella più a valle. Un tempo, poco lontano, si apriva un'altra porta nelle mura della parte bassa della città, Porta Cicerchia. Quest'ultima fu chiusa verso la metà del 1800, per impedire la diffusione di un'epidemia di colera proveniente da Ancona, e la chiesa di San Benedetto, che era subito al suo interno, fu trasformata addirittura in una fabbrica di sapone.”
“Però, là in quella zona che mi stai indicando , c'è una gru. Stanno restaurando?”
“Ristrutturando. Credo che dovrebbero venirci fuori dei mini appartamenti, che saranno venduti a peso d'oro. Ma tralasciamo. Ormai dell'epoca romana rimane ben poco. Camminando, ti mostrerò, più in alto, le vestigia dell'anfiteatro. La maggior parte delle costruzioni romane sono state distrutte da un violento terremoto nell'anno 848. In epoche successive sono stati costruiti i palazzi che vedi ora, e che risalgono quindi al tardo medioevo e al rinascimento. Chiaramente sono stati costruiti sopra i ruderi delle antiche costruzioni romane, che hanno fatto loro da fondamenta. Pertanto, soprattutto nella parte alta della città, dove ci sono i palazzi più grandi e sontuosi, sotterranei e cantine delle abitazioni formano una specie di città sotterranea, che ricalca le fattezze dell'antico abitato.”
“Come una rete di passaggi segreti, che unisce i sotterranei dei vari palazzi?” cominciavo ad essere curiosa.
“Proprio così, e questa peculiarità fu sfruttata nell'ultima guerra. Le cantine furono utilizzate non solo come rifugi durante i bombardamenti, ma anche come dispense per i viveri, e soprattutto come nascondigli per partigiani e dissidenti, nonché per soldati americani che si erano ritrovati dietro le linee nemiche dopo lo sbarco in Sicilia, quando questa zona era ancora sotto l'occupazione tedesca.”
Poco più avanti, Stefano mi mostrò la chiesa di San Bernardo, che attualmente ospita il museo della stampa e delle arti grafiche, e la chiesa di San Pietro Apostolo. Di quest'ultima, mi spiegò che è una delle più antiche, edificata dai longobardi, che l'aspetto attuale della facciata è settecentesco perché l'edificio in quel periodo era stato distrutto da un incendio, e fu ricostruito, con l'accesso principale su Piazza Franciolini, rivolto verso Via Valle anziché verso Costa Baldassini come in origine. Spingendo il passeggino, cominciai ad arrancare su per la Costa Baldassini, fino a raggiungere Via Roccabella, dove ammirammo le antiche vestigia dell'anfiteatro romano. Poi risalimmo ancora per un breve tratto, fino a raggiungere la parte più alta della città in Piazza Colocci, dove si affacciano la chiesa e il chiostro Sant'Agostino, l'antico Palazzo Colocci e, sul lato opposto, il Palazzo della Signoria, o Palazzo del Governo, la cui architettura ricorda molto il Palazzo Vecchio di Firenze.
“Perché un Palazzo della Signoria, se questa città non fu mai sede di una vera e propria Signoria?” Chiesi a Stefano, cercando di riprendere fiato e nella speranza che, facendolo parlare, si sarebbe fermato un po'.
“Viene chiamato così per l'affinità architettonica con quello fiorentino, tanto che il progettista è il toscano Francesco di Giorgio Martini, che lavorò anche alla realizzazione del Palazzo Vecchio di Firenze. Vero è che già fin dal XII secolo, Jesi era una Repubblica, come vedi dalla scritta sopra l'ingresso laterale del palazzo: «Respublica Aesina Libertas Ecclesiastica». I Comuni di allora, così come erano costituiti e retti, non assomigliavano affatto ai Comuni moderni, che hanno, o dovrebbero avere, piena autonomia amministrativa. I Comuni medioevali puntavano invece ad una completa autonomia politica, volevano essere, cioè, tante piccole repubbliche. Li governavano capi detti «consoli», i quali comandavano l'esercito ed amministravano la giustizia. Poi c'era il parlamento, che era l'assemblea di tutti i cittadini, i quali, in quella sede, facevano le leggi e nominavano i magistrati, i consoli in carica potevano essere anche più di uno, ma in ogni caso mantenevano l'incarico soltanto un anno e dovevano rendere conto del loro operato. Per quanto riguarda Jesi, i rappresentanti del nostro Comune da principio erano tutti artigiani aggregati a diverse scuole o confraternite. Il Comune jesino ebbe inizio con gli artigiani perché le arti furono uno dei primi fattori dell'affrancamento dal forte potere della Chiesa. Non si mostrava la nobiltà, la ricchezza, gli Jesini non avevano ne l'una ne l'altra, perché già servi e vassalli dei monaci e del vescovo. La loro ricchezza era il possesso e l'esercizio dell'arte, la loro nobiltà era il valore della medesima. Il primo consiglio comunale di Jesi si chiamò «adunanza degli uomini delle arti della città di Jesi»; si teneva o nella chiesa cattedrale o nel palazzo vescovile ed i «consiglieri» erano convocati al suono delle campane. Tale uso è rimasto fino ad oggi, ora è il campanone del palazzo della Signoria a convocare il consiglio comunale. Il primo sindaco di Jesi di cui si conosca il nome — più precisamente era detto «sindaco generale delle arti» — fu Buonacosa Diotaiuti: un nome che era un plauso ed un augurio insieme.”
“Ora stiamo parlando di Medioevo. E l'antica città romana?”
Sorridendo e cominciando a spingere lui il passeggino – ora che il tragitto era pressoché pianeggiante – mi condusse sulla Via Pergolesi, mostrandomi una pietra del selciato diversa dalle altre, molto più grande e perfettamente quadrata.
“Siamo sul Cardo Massimo, la strada principale dell'antico abitato romano, e quella pietra indica il punto più alto del colle su cui sorge Aesis. La pietra è stata posta lì, più di duemilatrecento anni fa, dal console romano Quinto Fabio Rulliano che, dopo aver sconfitto i nemici nella battaglia del Sentino, fondò qui l'accampamento, da cui avrebbe difeso la sua posizione e sferrato l'attacco finale ai Galli Senoni. Dopo un paio di secoli, Aesis era una delle colonie romane più ricche e architettonicamente sontuosa. Proiettati indietro nel tempo di due millenni e immagina di essere una matrona che si aggira con il suo pargolo per le vie dell'acropoli. Questa strada era coperta, iniziava laggiù con un arco trionfale, vicino al quale c'era un piccolo Pantheon, e terminava nel Foro, la piazza principale, dove si trovava il tempio dedicato alla Dea Bona, che era dove ora si trova la chiesa e il complesso di San Floriano. Dove ora vedi il Duomo, c'era un tempio dedicato a Giove, mentre più a valle si ergeva un altro tempio dedicato a Giunone, con tre porte d'accesso. Dove oggi vedi il Palazzo della Signoria sorgeva un grande anfiteatro, mentre al di là dei templi di Giove e Bona sorgevano le terme e i bagni, che erano ornati di idoli. Le statue che abbellivano l'ingresso delle terme rappresentavano il trionfo di Fulvio Fiacco, il quale fece i muri della città di Jesi. Un'enorme cisterna, situata tra il tempio della Dea Bona e le terme, garantiva l'approvvigionamento idrico della città. La lunghezza delle terme era di circa 380 metri, mentre le nuove costruzioni, che risalgono essenzialmente ad epoca rinascimentale, misurano circa 270 metri. Si può così dedurre, come ti accennavo prima, che una notevole parte degli attuali edifici poggia su fondamenta di origini romane.”
Avevamo nel frattempo coperto a piedi il breve tratto di strada che ci separava da Piazza Federico II, così si chiama ora quello che in epoca romana era il Foro, all'incrocio tra il Cardo Massimo e il Decumano Massimo, il centro nevralgico della città, dove si incontravano banchieri e commercianti, dove erano situati i templi. Tale piazza, così come la potevamo ammirare in quel momento, illuminata dal sole pomeridiano, era bellissima. Recentemente ripulita e ripavimentata, su tutto il suo perimetro, su una fila di piastrelle bianche, si può leggere la scritta: In questa piazza il 26 dicembre 1194 nasce l'imperatore Federico II di Svevia. Al centro della piazza una fontana, sovrastata da un obelisco, con una serie di leoni di pietra da cui zampilla acqua cristallina. Un lato della piazza è quasi completamente occupato dall'enorme complesso di San Floriano, che ospita la chiesa, un teatro sperimentale e il museo civico. Sul lato più distante, Palazzo Baldeschi Balleani, dal tipico balcone sorretto da statue simili a cariatidi, e il Duomo. Sull'altro lato, tutta la serie dei palazzi vescovili e della Curia, che ospitano tra l'altro il Museo Diocesano.
“Non è molto conosciuta, ma secondo me è una bellissima piazza. E inoltre è stata testimone di un evento storico eccezionale, la nascita di Federico II.” Riprese Stefano.
“Perché proprio qui. E in quale di questi palazzi è nato?” Chiesi curiosa.
“Non è nato in uno dei palazzi, è venuto alla luce sotto una tenda eretta apposta al centro della piazza.”
“In pubblico, come fosse un Messia, un nuovo Gesù Cristo?”
“Beh, adesso non esageriamo, però la sua nascita fu un evento pubblico per ben specifici motivi politici. Nel dodicesimo secolo, i Comuni erano costantemente in lotta tra loro. I Comuni più grandi tendevano ad espandersi a danno dei Comuni più piccoli. E siccome i primi cercavano aiuto nell'Imperatore tedesco ed i secondi nel Papa, nacquero i due grossi «partiti» dell'epoca, quello dei guelfi, che si appoggiava all'autorità ecclesiastica, e quello dei ghibellini, che parteggiava per l'impero. I Comuni, per la verità, erano sempre soggetti o al Sacro Romano Impero di Germania o allo Stato della Chiesa, ma si adattavano malvolentieri a tale sudditanza, si erano dati leggi proprie, eleggevano in piena autonomia i propri magistrati e se dovevano farsi guerra non andavano a chiedere il permesso di nessuno. Inutile dire che né il pontefice né l'imperatore vedevano di buon occhio le smanie indipendentistiche dei Comuni e consideravano ogni loro atto non preventivamente autorizzato come un gesto di aperta ribellione. In Germania, soprattutto, la cosa non era tollerata, tanto che un grande imperatore della casa Sveva, Federico I detto il Barbarossa, discese alla fine in Italia con un forte esercito deciso a far rispettare la propria autorità. Varcò le Alpi, assalì e distrusse le città ribelli, ponendo poi a capo di ogni Comune a lui soggetto un podestà tedesco dal pugno di ferro. Federico Barbarossa non si limitò a far valere la sua autorità sulle regioni italiane del Sacro Romano Impero ma, com'era nelle abitudini di tutti gli invasori, entrò più volte nelle province della Chiesa. Si spinse anche anche dalle nostre parti, quindi. Ma, soprattutto nel Nord, non tutti i Comuni accettarono passivamente il pugno di ferro del Barbarossa. Trentasei Comuni si coalizzarono firmando a Pontida quella Lega Lombarda i cui uomini, sotto la protezione di papa Alessandro III, nel 1176 affrontarono e sconfissero le truppe tedesche a Legnano, in una memorabile battaglia. Fu un serio colpo per il Barbarossa, che si vide costretto a riappacificarsi col papa e coi Comuni. Sconfitto nel Nord Italia, il Barbarossa si riparò nel Sud, impossessandosi del regno di Sicilia con un'abile mossa diplomatica, infatti fece sposare il figlio Enrico VI con Costanza d'Altavilla, ultima erede di quel regno. Il matrimonio fra Enrico VI e Costanza fu celebrato nel 1186; otto anni dopo, dalla loro unione, nasceva a Jesi Federico II. Costanza era già trentenne quando, per ragioni di Stato, venne tolta dal chiostro e mandata in sposa ad Enrico VI, di undici anni più giovane di lei. I rapporti fra i due coniugi non erano stati propriamente idilliaci, e molti mettevano in dubbio la veridicità della gravidanza. Comunque, nel dicembre del 1194, Costanza, in viaggio attraverso la Marca d'Ancona per raggiungere il marito in Sicilia, fece sosta a Jesi. Non era la prima volta che i reali di Sicilia si trovavano nella nostra città, già nel 1186 Jesi, notevole centro di attività commerciali ed artigianali, aveva ospitato Enrico VI. Di Costanza d'Altavilla se ne dicevano di tutti i colori, che fosse troppo vecchia per partorire, che fosse persino zoppa e guercia, e che comunque la sua gravidanza fosse inventata per soli scopi politici. Il parto di Costanza avvenne così pubblicamente, per togliere ogni sospetto d'inganno, sotto un padiglione innalzato sulla piazza maggiore di Jesi, allora dedicata a San Giorgio, a cui era intitolata al tempo la chiesa che oggi è dedicata a San Floriano. Al parto furono presenti, come narrano parecchi storici, molti baroni e gentildonne, il Legato Apostolico e quindici prelati tra vescovi e cardinali. Poiché Costanza aveva fretta di raggiungere il marito in Sicilia, il piccolo Federico II fu lasciato a Jesi, affidato alle cure dei conti Pietro di Celano e Berardo di Loreto. Fu poi accompagnato a Foligno, dove passò sotto la custodia della duchessa di Spoleto. Nel 1197, a soli 32 anni, improvvisamente Enrico VI moriva. Costanza incaricò alcuni conti d'Apulia di prelevare il regio infante a Foligno per portarlo a Palermo, dove l'anno dopo, nel giorno di Pentecoste, a soli quattro anni, con una fastosissima cerimonia di rito bizantino, Federico II venne incoronato re. Re di Sicilia soltanto, secondo il desiderio della madre, la quale odiava i tedeschi e non voleva che il piccolo re diventasse imperatore di Germania. Ma anche Costanza aveva i giorni contati. Nel 1198, infatti, anch'essa moriva, non senza però aver prima nominato amministratore del Regno e tutore del figlio il Papa. Ne seguì un periodo oscuro di lotte, guerre tra comuni limitrofi, saccheggi e carestie, finché Federico II, diventato adulto, si pose a capo dell'impero e, nel 1216, fece il suo ingresso trionfale nella sua città natale, chiaramente ghibellina. In questa piazza fu alzato in suo onore un arco di marmo, di bellissimo disegno ed architettura, pieno di statue ed epitaffi, che è poi andato completamente perduto. L'imperatore, per rendere omaggio alla sua città, concesse molti privilegi, ornò il leone, simbolo della città, di una corona regale e diede a Jesi il titolo di Repubblica. Tradizione vuole inoltre che Federico II avesse voluto rendere navigabile il fiume Esino, ed avesse posto gli jesini davanti ad un'alternativa, o il porto o il titolo di città regia. La scelta cadde sulla seconda soluzione, probabilmente per il fatto che commercianti ed artigiani sarebbero stati esentati dal pagare le tasse.”
“Bella storia, ma credo che tu abbia bisogno di bere qualcosa, dopo tutte queste chiacchiere, che non credo finiscano qui!” Così dicendo mi avviai verso un bar con dei tavolini all'aperto, ma uno stand su un angolo della piazza attirò la mia attenzione. Sotto l'ombra di alcuni gazebo, una libreria che aveva sede lì vicino, aveva dato vita all'iniziativa Pomeriggi Letterari: incontri con autori e presentazioni di libri in piazza. Mi avvicinai incuriosita e vidi esposte parecchie copie di un romanzo di recente pubblicazione, intitolato «Delitti Esoterici – La prima indagine del Commissario Caterina Ruggeri». Presi in mano un testo e cominciai a sfogliarlo, osservando che era la narrazione romanzata della mia indagine sui delitti di Triora.
“Oh, questa è bella!” Dissi, rivolta a Stefano, che cominciava visibilmente ad arrossire. “E chi è l'autore? Carla Lanerossi è sicuramente uno pseudonimo. Ne sai qualcosa, tu?”
“Beh, certo, la tua storia, così come me l'hai raccontata, mi aveva talmente appassionato che ho deciso di scriverci un romanzo...”
“Brutto bastardo, e non mi hai detto niente? Voglio una parte dei diritti d'autore!” Ma l'indignazione iniziale stava lasciando spazio di nuovo all'ammirazione nei confronti del mio compagno, nel quale stavo scoprendo un talento dietro l'altro. Presi una copia del libro, la pagai e la misi nella borsa portaoggetti del passeggino di Aurora, che continuava ad osservare ogni cosa ed ogni particolare con occhioni interessati, e continuava ad elargire sorrisi a chiunque la guardasse, compresa la ragazza della libreria.
“Immagino che tu abbia delle copie tue di questo libro. Me lo potevi almeno far leggere!”
“Non credo che avrà grande successo.” Disse con falsa modestia. “E poi la storia la conosci bene!”
“Bisogna vedere con quali particolari l'hai condita, diavolo d'un veterinario, storico, sassofonista, scrittore... Cosa devo scoprire ancora di te? Sei una miniera inesauribile, ma è per questo che mi piaci.” Mi avvicinai a lui a cercare l'abbraccio, che non tardò ad arrivare, accompagnato da uno 'nghè 'nghè soddisfatto di Aurora.
Ci prendemmo un gelato al bar, poi ci dirigemmo verso il lato opposto della piazza.

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