mercoledì 29 febbraio 2012

MOMENTI DI RELAX PER CATERINA RUGGERI

APERITIVO AL CREME CARAMEL
In seguito ad un improvviso temporale, durante la prima settimana di agosto la temperatura era discesa a livelli accettabili. Il sabato sera mi stavo godendo un cocktail nei tavolini all'aperto del Crème Caramel, mentre Stefano, senza la sua solita orchestrina, ma solo grazie al suo sax e alle basi musicali inviate all'impianto di amplificazione da un PC portatile, allietava la serata agli avventori del locale. Ad un certo punto vidi giungere Veronica, in un succinto abitino da sera e l'immancabile sigaretta accesa. Era in compagnia di Leonardo Albini, e sembrava che tra loro l'intesa fosse più che perfetta. La collega, leggermente più alta del tipo, teneva un braccio sulla sua spalla, mentre lui le cingeva i fianchi. Richiamai l'attenzione di Veronica, salutandola ed invitandola a sedersi al mio tavolo. Dopo che la cameriera ebbe disposto sul tavolo altri stuzzichini e preso le ordinazioni dai nuovi arrivati, un long drink per Veronica, un gelato al limone corretto alla Vodka per Leonardo, mi rivolsi alla collega e mi feci offrire una sigaretta. Leonardo, con premura, tirò fuori l'accendino e me la accese.

UN BATTIBECCO CON STEFANO
Mi dovevo vendicare, e il messaggio doveva essere chiaro. All'improvviso mi venne in mente il pacchetto di sigarette acquistato giorni prima e completamente dimenticato in borsa. Conoscevo bene l'avversione del mio compagno per il fumo. Frugai fino in fondo alla borsa, tra i vari oggetti che ogni donna, non si sa perché, porta sempre con sé anche se non servono, trovai il pacchetto, presi una sigaretta e la misi in bocca. Mi diressi verso il caminetto, avendo come obiettivo la scatola dei fiammiferi che era sulla mensola. Ne accesi uno, ma esitai ad avvicinare la fiamma alla sigaretta quel tanto che bastò a Stefano per spegnerla con un soffio. Rimasi allibita a guardare quel bastoncino fumante che mi era rimasto in mano, mentre Stefano toglieva la sigaretta dalla mia bocca.«E' una battuta che ho scritto io sul precedente romanzo, quindi la conosco: qui dentro non si fuma, mia cara, ed io conosco un metodo infallibile per fartene passare la voglia!» Così dicendo avvicinò le sue labbra alle mie, unendole alla ricerca di un bacio appassionato. Riuscii a resistere per una frazione di secondo, cercando di respingerlo, dopo di che cedetti alla passione e mi lasciai trascinare fino in camera da letto.



mercoledì 8 febbraio 2012

IL DIARIO DI UNO PSICOPATICO

UNA SFIDA AL BUIO PER IL COMMISSARIO CATERINA RUGGERI


Stavo spiegando al mio collega di Senigallia, il Commissario Capo Sergio Adinolfi, la funzione della mia squadra in ambito regionale e le possibilità di collaborazione e di interscambio con i locali Distretti di Polizia nelle indagini riguardanti efferati delitti, che sempre più frequentemente si verificavano anche nella nostra zona. Il tipo, un uomo sulla quarantina, alto, atletico, dallo sguardo intelligente, due occhi azzurri che ti perforavano attraverso le lenti degli occhiali, mi ascoltava con attenzione.

«Mio caro, probabilmente dal 2012 tutte le forze dell'ordine, noi, Carabinieri e Guardia di Finanza, saranno riunite in un unico corpo, nell'ottica di un notevole risparmio per le casse pubbliche. Molti nostri piccoli Distretti, così come piccole caserme dei Carabinieri o della Finanza, saranno chiusi, verranno creati nuclei forti nel territorio, con personale misto proveniente dai vecchi organici. Non sappiamo ancora come sarà attuata questa riforma, quali saranno i tempi e come ci chiameremo, ma un fatto è certo: dobbiamo giungere all'appuntamento forti e determinati, non dobbiamo farci prevaricare dagli altri. E la Sezione Omicidi e persone scomparse da me diretta è un nostro punto di forza. Ci tengo a dimostrarlo per garantirne la sopravvivenza, e per questo mi occorre il supporto di tutti voi che lavorate nei piccoli commissariati, che siete a contatto con la realtà quotidiana...»

Il collega stava per ribattere qualcosa, quando la nostra attenzione fu richiamata da un insolito trambusto giù in strada, a poca distanza dalla palazzina in cui ci trovavamo in quel momento, situata in un quartiere periferico di Senigallia, di fronte a degli impianti sportivi, in realtà una zona tranquilla e poco frequentata in quel periodo dell'anno. Era infatti Dicembre inoltrato, le giornate si erano notevolmente accorciate, tanto che erano le quattro del pomeriggio e già il sole stava calando inesorabilmente. Un'auto parcheggiata stava andando a fuoco, già si cominciava ad alzare una colonna di fumo nero. Lì per lì, pensai che non fosse niente di grave, a parte il danno economico che avrebbe patito il proprietario per la perdita della sua auto, ma alcuni particolari della scena fecero rendere conto sia me che il mio collega che si stava consumando una tragedia. L'auto non era vuota, c'erano delle persone a bordo. Senza neanche infilarci i soprabiti, ci precipitammo di sotto. Sergio prese il primo estintore che gli capitò tra le mani, io feci altrettanto e gridai al piantone, passando avanti alla sua guardiola, di chiamare ambulanza e pompieri. Giunti vicino all'auto in fiamme, una Peugeot 207, potemmo verificare l'efficienza degli estintori in nostra dotazione. Il mio era completamente scarico, mentre quello che aveva in mano il commissario Adinolfi riuscì a soffocare le fiamme quel tanto che bastò a riuscire a vedere che per la persona seduta sul posto del guidatore c'era ben poco da fare, poi, esalato l'ultimo spruzzo di schiuma, le fiamme finirono la loro opera riducendo l'auto ad uno scheletro annerito. Fortunatamente, si fa per dire, il veicolo doveva essere alimentato a gasolio, per cui non ci fu alcuna esplosione. Giunsero i pompieri a sirene spiegate e in una frazione di secondo estinsero le ultime lingue di fuoco. Poco più in là, il personale del 118 stava prestando soccorso ad un individuo, che ancora teneva in mano un tubo metallico e che si era leggermente ustionato al volto. A terra, in stato di incoscienza, una persona che capii essere una donna, era riuscita ad uscire dall'abitacolo dal lato del passeggero, si era trascinata per qualche metro avvolta dalle fiamme, poi si era accasciata inerme. Mi diedi della stupida, se non avessi perso tempo con l'estintore, mi sarei potuta accorgere di lei, gettarle qualcosa addosso per soffocare le fiamme, per evitarle atroci sofferenze. Ma nella confusione non avevo fatto neanche caso alle sue urla. I paramedici la rigirarono delicatamente, uno di loro poggiò due dita sul collo e disse all'altro: «E' ancora viva! Forza, diamoci da fare.»

Il secondo paramedico scosse la testa.

«Non possiamo fare niente, è in condizioni pietose. Se si salverà rimarrà sfigurata per sempre. Diamole l'ossigeno e chiamiamo l'eliambulanza, la trasporteranno al centro grandi ustionati...»

La scena era raccapricciante, avevo i crampi allo stomaco e stavo per vomitare, ma mi feci coraggio, mi avvicinai al mio collega, che continuava a guardare allibito il cadavere carbonizzato della persona rimasta all'interno della vettura, e cercai di scuoterlo riportandolo alla realtà.

«Coraggio, Sergio, non potevamo fare niente di più. Cerchiamo di capire piuttosto che cos'è successo. Dobbiamo interrogare l'individuo con quella spranga in mano, prima che lo portino al pronto soccorso. Sentiamo che cos'ha da dire! Mentre tu ti fai dare le sue generalità, io chiamo Cimino. Qualche rilievo della scientifica ci potrà sicuramente essere utile.»

Mentre stavo telefonando, notai con piacere che due agenti del Distretto erano scesi in strada e stavano porgendo a me e a Sergio i nostri rispettivi soprabiti. Effettivamente fu un sollievo indossare il cappotto, in quanto cominciavo ad essere piuttosto infreddolita. Chiusa la comunicazione, prestai attenzione alle parole che stava pronunciando il tipo interrogato dal mio collega.

«Stavo passando di qui per caso, quando ho notato qualcosa di strano all'interno di quell'auto. I vetri si stavano facendo neri di fumo all'interno. C'erano fiamme, ma non erano alte, non fuoriuscivano dall'abitacolo, e sentivo le grida disperate di una donna. Ho provato ad aprire lo sportello, la maniglia scottava, ma ho insistito lo stesso. La portiera non si apriva perché era bloccata dall'interno. Allora ho trovato questa spranga metallica e ho sfondato il vetro. Non l'avessi mai fatto, sono riuscito solo a peggiorare la situazione, fornendo ossigeno all'incendio, una violenta fiammata mi ha investito scaraventandomi all'indietro. Sono riuscito a vedere quella donna avvolta dalle fiamme uscire dal finestrino e correre per qualche metro lasciandosi dietro una scia di frammenti di vestiti e poveri brandelli di carne anneriti dal fuoco, per poi crollare a terra divincolandosi. L'altra persona è rimasta immobile al posto di guida. Non sono riuscito a capire se fosse già morta o se stesse ferma di proposito perché voleva morire in quel modo orribile.»

I paramedici ci lanciarono uno sguardo severo e fecero salire il signor Giovanni Bartoli, così aveva detto di chiamarsi il tipo, sull'ambulanza.

«Avrete tempo e modo di interrogarlo. Ora ha urgente bisogno di essere medicato.»

L'ambulanza partì a sirene spiegate, mentre dal cielo, ormai scuro, giungeva il rumore del rotore dell'eliambulanza, che in breve atterrò al centro del vicino campo da calcio. Con più tranquillità sarebbe arrivata la polizia mortuaria e il furgone della scientifica. Nel frattempo raccogliemmo anche la testimonianza del caposquadra dei Vigili del Fuoco.

«L'auto era chiusa dall'interno, probabilmente la persona al volante aveva azionato il pulsante della chiusura centralizzata. Non ho toccato niente, ma all'interno dell'abitacolo ho notato, tra i resti carbonizzati, almeno quattro bombolette di gas butano, quelle per ricaricare gli accendini, per intenderci. La vittima, che credo sia una donna anche lei, tiene ancora in mano un accendino. Probabilmente la causa del rogo è stata lei stessa. Forse le due avevano deciso di suicidarsi, hanno chiuso tutto e hanno fatto saturare di gas l'abitacolo, provocandosi così anche un certo grado di stordimento. Una scintilla con l'accendino è stata più che sufficiente per innescare l'incendio.»

«Brutto modo per suicidarsi.» Replicai. «E comunque, una delle due non sembrava molto d'accordo a finire abbrustolita. Lasciamo che la scientifica faccia i suoi rilievi, Sergio, i prossimi giorni avremo la possibilità di capire meglio la dinamica dei fatti e le motivazioni che hanno portato queste donne ad un gesto così assurdo. Nel frattempo, in base alla targa del veicolo, cerchiamo di dare un nome a quel cadavere e alla persona che doveva morire insieme a lei. Ormai questo è un caso in cui sono coinvolta, quindi condurremo l'indagine insieme. Ora io rientro alla base, ma ci terremo in contatto.»

«Ci puoi contare!» Replicò Adinolfi, congedandosi.

Nei giorni seguenti potei apprezzare le doti professionali di quell'uomo appena conosciuto, che mi aveva subito colpito in maniera positiva. Avessi avuto lui al posto del Santinelli al mio fianco, come mio vice, la nostra squadra avrebbe sicuramente avuto una marcia in più. Ci ritrovammo nel suo ufficio di Senigallia un paio di giorni dopo.

«L'auto, una Peugeot 207, apparteneva ad una certa Eleonora Giulianelli, 36 anni. Faceva la commessa in un centro commerciale ed abitava da sola in un condominio a pochi passi da qui.» Iniziò Sergio. «La conosciamo per averla fermata a volte e averla trovata in possesso di alcuni piccoli quantitativi di droga, poca roba, per uso personale, per cui non è stata mai arrestata e la sua fedina penale è pulita. Sappiamo però che frequentava assiduamente gli ambienti dei rappers. Spesso partecipava a rave party, cercando lo sballo a tutti i costi. La madre, al riconoscimento della salma, era sì disperata, ma ha affermato che se lo aspettava che prima o poi Eleonora sarebbe finita male. E così è stato. Abbiamo interrogato chi la conosceva, che ha affermato che la tipa era gay, faceva coppia fissa ormai da tempo con una sua amica, Cecilia Bertini, 37 anni, che è poi l'altra donna che era in auto con lei. Quest'ultima però aveva recentemente conosciuto un uomo e se ne era innamorata, pertanto ci hanno riferito che stava cercando di rompere il rapporto con Eleonora. Mettendo insieme questi elementi, credo che potremmo trarre delle conclusioni molto verosimili alla realtà.»

«Lascialo dire a me. Eleonora ha un rapporto morboso con la sua partner e proprio non le va giù che la lasci per un uomo. Vuol fare un ultimo tentativo, invitando l'amica in auto per parlare, per convincerla a rimanere insieme a lei. Ma se non riuscirà a convincerla ha preparato tutto: moriranno insieme. Hanno già sniffato altre volte il butano, per procurarsi un po' di sballo a poco prezzo, per cui Cecilia non si preoccupa di quelle quattro bombolette di gas per accendini. Fatto sta che Eleonora ha sabotato i contenitori, in modo che rilascino pian piano il gas nell'abitacolo. Cecilia ascolta per un po' l'amica, leggermente stordita dall'odore del gas magari si lascia anche carezzare e baciare, ma poi resiste, non vuole desistere dal suo progetto, ha quasi quarant'anni, è ora di mettere la testa a posto e dedicarsi finalmente ad un rapporto come si deve con un uomo, forse sposarsi, chissà! Eleonora, nel frattempo, ha sigillato i finestrini e bloccato le portiere con il pulsante della chiusura centralizzata, che è situato nel pannello della portiera dal suo lato, vicino agli alzacristalli. Un altro comando permette di bloccare anche quelli. Con indifferenza tira fuori il pacchetto delle sigarette, ne offre una all'amica, ne porta lei stessa una alla bocca, e prende l'accendino. Per essere sicura che l'incendio si sarebbe innescato, Eleonora si era anche versata addosso tanto profumo e si era spruzzata tanta lacca sui capelli, ed aveva indossato dei capi di vestiario in fibra sintetica, facilmente infiammabili. Basta la scintilla dell'accendino e... l'abitacolo si trasforma in un inferno. Eleonora rimane ferma, la morte a questo punto è una liberazione per lei, anche se ha scelto un modo atroce per morire. Sicuramente non è della stessa opinione Cecilia, che cerca disperatamente di sfuggire alle fiamme, cerca di aprire la portiera ma è bloccata, di abbassare il finestrino, ma è bloccato anche quello, grida disperata, cerca di raggiungere con la mano il pulsante della chiusura centralizzata, forse riesce a raggiungerlo ma ormai, a causa del calore, non funziona più, l'impianto elettrico dell'auto è ormai andato. Tossisce, lacrima, si dispera, le fiamme cominciano a consumare i suoi abiti, provocandole fitte lancinanti quando vengono a contatto della sua pelle. Quando ormai pensa che sia finita, sente il cristallo infrangersi, una pioggia di frammenti di vetro riversarsi su di lei. Qualcuno la sta aiutando, ma in un lampo, le fiamme aumentano notevolmente il loro vigore, hanno preso nuova forza dall'ossigeno arrivato così generoso ad alimentarle. Trova la forza di gettarsi fuori dell'abitacolo attraverso il finestrino rotto, ma ormai è una torcia umana, riesce a fare pochi passi e cade a terra. Il resto lo abbiamo visto con i nostri occhi.»

«E quindi possiamo archiviare l'episodio come un caso di omicidio – suicidio. Indipendentemente dal fatto che la Bertini se la cavi o meno, la sua carnefice è morta, quindi la faccenda è chiusa...»

«Sarebbe così, se non fosse per un particolare, un reperto che la Scientifica ha ritrovato a pochi passi dalla scena, un piccolo libro dalla copertina di pelle color porpora, finemente lavorata, una candela in parte consumata ed una foto di Cecilia Bertini strappata in quattro pezzi. Cimino mi ha riferito che il libriccino, così a prima vista, poteva sembrare una copia di una Bibbia, o di un Vangelo, ma le pagine erano quasi tutte bianche, tranne alcune all'inizio scritte a mano. Nel frontespizio un titolo, scritto in carattere stampatello, “IL DIARIO DI UNO PSICOPATICO”, nelle pagine successive una disquisizione da vero e proprio psicopatico, che avrò modo di leggere quando la Scientifica avrà terminato il suo lavoro sul referto e me lo consegnerà, ed infine una citazione dal Vangelo di Matteo: "Il regno dei cieli è simile ad un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senza abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti.”»

«Inquietante. Il tipo fa riferimento alle fiamme, fa riferimento all'inferno, ma che significato può avere tutto ciò? Forse è Eleonora stessa che ha preparato queste cose, in fin dei conti era ad un punto di rottura con Cecilia e aveva progettato di ucciderla. C'è tutto: la foto strappata, il riferimento al fuoco, la candela consumata, il brano del Vangelo accuratamente scelto...»

«C'è qualcosa che non quadra. Se fosse effettivamente stata una donna a scrivere, avrebbe scritto il diario di una psicopatica, e non di uno psicopatico. E poi quello che mi fa pensare che non sia stata lei a scrivere quel libretto è il suo livello culturale. Eleonora faceva la commessa, era dipendente dalle droghe e frequentava circoli di rappers. Dovremo leggere attentamente ciò che c'è scritto su quel diario, ma salta all'occhio che sia frutto di una mente fine, colta, non di quella di una sempliciotta commessa di un supermercato. Quello che temo è che possiamo essere di fronte ad un pazzoide, un manipolatore, che magari ha fatto di Eleonora il suo braccio armato per uccidere la sua vittima, rimanendo magari a breve distanza per osservare l'olocausto e disseminare inosservato sul terreno gli elementi che abbiamo trovato, e che rappresentano una sfida da parte sua nei nostri confronti. Potrebbe essere un omicida seriale: “Prendetemi, se ne siete capaci” ci sta dicendo “altrimenti colpirò di nuovo.”»

«Mio Dio, Caterina, queste sono solo tue congetture. Tutto da dimostrare. Ma quello che mi preoccupa è che hai parlato al plurale: dovremo leggere attentamente... Che significa?»

«Ah, già, dimenticavo! La lettera del Questore, tieni. Da domani sarai in servizio nel mio ufficio, sarai il mio vice al posto di Santinelli, che temporaneamente assumerà la reggenza del Distretto di Polizia di Senigallia. Abbiamo un caso che scotta per le mani, e il Dottor Spanò pensa che tu, in questo momento, sia più utile alla Omicidi che non in questo distretto periferico. Vedrai, ti troverai bene con la squadra!»

«Ma...» Provò ad obiettare. Non gliene lasciai il tempo, perché mi girai sui tacchi e guadagnai la porta dell'ufficio.

«A domattina. Alle 8, ci tengo alla puntualità!»